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Parole da non perdere - NL n.°5


Non sappiamo ancora in che secolo stiamo vivendo         
Iosé Ignacio Torreblanca
 
Dieci anni fa erano tutti d'accordo sul fatto che la guerra fredda fosse acqua passata.
Ci dicevano che il diciannovesimo secolo si era chiuso nel 1914 e il ventunesimo era cominciato nel 1989
 
Se il suo articolo comincia dicendo 'Dalla fine della guerra fredda' non si prenda il disturbo di inviarcelo". Solo una decina di anni fa, quando fu lanciata l'edizione spagnola di Foreign Policy, la rivista statunitense si rivolgeva così a chi voleva inviare delle proposte di contributi.
In altre parole, dieci anni fa erano tutti d'accordo sul fatto che la guerra fredda fosse acqua passata e che niente di quel periodo fosse ancora valido nel presente. Ci dicevano che il diciannovesimo secolo si era chiuso nel 1914 e il ventunesimo era cominciato nel 1989.
Secondo questa prospettiva, gli attentati dell'11 settembre 2001 erano la conferma del fatto che il ventunesimo secolo sarebbe stato segnato dall'unilateralismo militare (con una sola potenza egemone, gli Stati Uniti) e dal multilateralismo economico, con di­ versi paesi emergenti, soprattutto in Asia (Cina e India) ma anche in America Latina (Brasile e Messico). In mancanza di un nome migliore e dando prova di scarsa immaginazione, decidemmo di chiamare que­ sta situazione "il dopo guerra fredda".
Oggi, a dieci anni di distanza, stiamo ancora discutendo per stabilire dove ci troviamo. Siamo forse nel 1914, alle porte di un nuovo conflitto globale che sarà scatenato in Asia dalle tensioni tra la Cina e i paesi vicini? A favore di questa possibilità, il 1914 dimostrò che l'interdipendenza economica non è sempre una garanzia di pace.
Al contrario, fin dalle guerre del Peloponneso sappiamo che le rivalità e i sospetti creati dall'ascesa di alcuni paesi generano tensioni, riallineamenti strategici e perfino errori di calcolo, che possono portare al conflitto anche se i protagonisti non lo cercano deliberatamente. Quindi bisogna fare attenzione alla combinazione di nazionalismo, autoritarismo e irredentismo: il mar cinese meridionale potrebbe trasformarsi nel bacino della Ruhr del ventunesimo secolo.
No, dicono altri, soprattutto in Europa centrale e orientale e nei paesi baltici: siamo nel 1938, e il problema è che non abbiamo ancora capito che il punto fondamentale dell'annessione della Crimea non è lo scar­ so valore strategico della penisola. Quello che davvero importa, dicono, è che se non analizziamo corretta­ mente la logica di espansione e affermazione della Russia, che si sente umiliata dal modo in cui si è con­ clusa la guerra fredda, non capiremo che dobbiamo tenere testa a Mosca, tracciare una linea rossa e rinunciare alla pacificazione.
Adolf Hitler, spinto dal risentimento per le condi­ zioni imposte alla Germania dal trattato di Versailles, interpretò la cessione della regione dei Sudeti come un via libera alle sue ambizioni territoriali. Allo stesso modo Vladimir Putin interpreterà la risposta dell'occidente alla crisi in Ucraina come un segno di debolez­ za che gli permetterà di ristabilire la sfera d'influenza e l'onore di una Russia ferita. Come lo stesso Putin ha sottolineato recentemente in un discorso pronunciato al Forum del club Valdai a Soci, l'Unione Sovietica si è sciolta senza neanche firmare un trattato che specifi­ chi la posizione della Russia nel mondo.
Un terzo gruppo ritiene che non ci troviamo nel 1938 ma nel 1945, all'inizio di una nuova guerra fredda, e che dobbiamo elaborare una strategia per contenere le ambizioni imperialistiche della Russia, mascherate ora da nazionalismo e finanziate dal petrolio e dal gas, evitando però un conflitto militare potenzialmente devastante. Dobbiamo quindi combinare le sanzioni e l'isolamento con degli accordi di coesistenza, senza immischiarci troppo.
Infine, la confusione è tale che c'è perfino chi dice che siamo nel 2014, e vche né il 1914 né il1938 né il 1945 servono a capire cosa ci sta succedendo. Hanno ragio­ne: venticinque anni dopo il crollo del muro di Berlino, non sappiamo ancora in che tipo di mondo stiamo vivendo.
 
 
JOSÉ IGNACIO TORREBLANCA
Insegna scienze politiche alla Uned di Madrid. È columnist del Pais e dirige la sede spagnola dell'European council on foreign relations. È tra gli animatori del sito di analisi e dibattiti sulle istituzioni europee BlogEuropa.
 
Da Internazionale, n. 1077, anno 22, 14/20 novembre 2014