Tu sei quiIn forma di parole / Domanda / Domande NL n.° 11

Domanda / Domande NL n.° 11


Kveta Pakowska, Ponctuation

"Essa (la storia) dovrà cercare di mordere razionalmente sull'avvenire, compito che le impone lo scacco della futurologia e lo scatenamento delle elucubrazioni divinatorie vecchie e nuove per prolungare prudentemente la padronanza dei tempi al di là del passato e del presente e per cercare di rispondere più pienamente alla domanda: «A che serve la storia?». A rispondere razionalmente all'interrogativo: «Chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?»”. Jacques Le Goff
 
Insomma: senza domande e problematizzazioni non ci può essere una storia utile e significativa. Neppure a scuola. Soprattutto a scuola.
 
 
Come vivere? - mi ha scritto qualcuno,
a cui io intendevo fare
la stessa domanda.
Da capo e allo stesso modo di sempre,
come si è visto sopra,
non ci sono domande più pressanti
delle domande ingenue.

                                                                                       (Wislawa Szymborska)

 

La risposta è senza memoria. Soltanto l'interrogazione ricorda.

                                                                          (Edmond Jabès)

 

           

Dentro e fuori
(…)
Alle sette la madre è tornata a casa a preparare la biancheria per il figlio. Gli ha preparato un pacco con maglie e calzerotti per l'inverno, saponette profumate, un mazzo di carte da gioco, dolciumi vari, tra cui un sacchetto di caramelle, e un borsino pieno di sigarette. Il padre è sbarcato dal treno alle otto, reduce da un viaggio elettorale, ed è tornato a casa a lavarsi e cambiarsi la camicia. Alle nove è andato a prendere il figlio con la nuova automobile 1100, e lo ha accompagnato all'ospedale quasi senza fiatare. Guidava la macchina nuova fiammante con molta circospezione, e agli incroci lasciava passare tutti per paura di incidenti. Ogni tanto guardava il figlio, che guardava fuori dal finestrino. Quel mutismo metteva a disagio il signor Pucci; il quale ha trovato solo da dirgli, due volte: «Fai il bravo, eh, Aurelio?». E il figlio rispondeva: «Sì sì», guardando da un'altra parte.
All'ospedale i grandi amici di Pucci erano il ricoverato Garagnani, ebanista, il ricoverato Bonsanti, umanista, e il ricoverato Quaglia, ladro. Garagnani era un pezzo d'uomo con due spalle come un armadio, calmo, posato, ottimo giocatore di scopone. Bonsanti era allampanato, scrupoloso, che rispettava tutte le regole, ma come giocatore di scopone una schiappa. Quaglia era piccolotto e faceva ridere tutti con le sue battute spiritose, tranne quando era depresso. I quattro più che altro passeggia vano dentro il reticolato del giardino, e stavano a scambiare saluti con altra gente dietro altri reticolati: altri ricoverati, oppure liberi cittadini che passando per il viali, qualche volta si fermavano a chiedere: «Siete in molti voi, lì dentro?». Quaglia spesso si prendeva il gusto d rispondere: «Ah, qui siamo moltissimi, tutti matti! E voi là fuori, siete molti? Tutti matti anche voi?»
 
(Gianni Celati, Costumi degli italiani, 2008)
 
 
 
Domanda delle domande
 
Prima della sua fine Rabbi Sussja disse: «Nel mondo a  venire non mi si chiederà: "Perché non sei stato Mosè?". Mi si chiederà: "Perché non sei stato Sussja?"».
 
(Martin Buber, Storie e leggende chassidiche, 2008)
 
 
 
Le domande proprie
(…)
Spesso negli ultimi anni sono andato nelle scuole a raccontare agli studenti le vicende del nostro passato, ricche per noi di valori positivi, le lotte per la libertà e per l'uguaglianza, per la solidarietà, per la costruzione dello stato democratico. Un giorno in un liceo artistico di Roma affollatissimo di studenti, molto cortesi, che applaudivano civilmente e persino ridevano se rac contavo delle facezie, mi sono accorto che nulla di quello che raccontavo si fermava nella loro mente: potevano cogliere delle informazioni, ricavare anche qualche emozione, ma era come quando si va al cinema e si esce commossi, ma dopo dieci minuti la vita di ogni giorno riprende il suo dominio. Le cose che raccontavo erano risposte ai miei problemi (e magari a quelli della mia generazione), non erano risposte ai problemi loro. Soprattutto i giovani e i giovanissimi hanno oggi altri problemi, hanno insicurezze sconosciute alla mia generazione, insicurezze che rendono difficile progettare la vita e sembrano quindi rendere inutile la storia. lo non posso imporre, e nemmeno proporre loro le mie soluzioni.
La cosa non riguarda solo i giovani, tocca un po' tutti: come si richiama la memoria? Come si può ricordare il passato? Da quella riunione al liceo artistico quella domanda mi ha intrigato. Posso raccontare il fatto, l'accadimento. Può essere elaborato come esempio, come analogia, ma in sé non trasmette risposte. Se vado al di là della cosa e ne cerco il senso, cioè il valore, il posto che ha in un processo, forse riesco a trasmettere l'importanza della scelta. La memoria altrui ha un senso solo se elaborata sulle domande proprie. Allora forse (dico forse) riesco a contribuire a che ciascuno trovi una risposta. (…)
 
(Vittorio Foa, Questo Novecento, 1996)
 
Vittorio Foa (1910-2008), imprigionato oltre otto anni per antifascismo, dopo la Resistenza è stato deputato alla Costituente per il Partito d'azione. Dirigente della Cgil, è stato parlamentare socialista e poi senatore del Pds.
 
 
 
Anche quando
 
Anche quando viene chiusa la bocca, la domanda resta aperta.
 
(Stanisław Jerzy Lec, Pensieri spettinati, 2001)
 
 
 
La Scoperta
 
Personaggi: Eva, il serpente
 
Eva: Siamo perduti! Adamo ha scoperto tutto.
Il serpente: Cielo! E come mai?
Eva: Ha mangiato la foglia.
(Sipario)
 
(Achille Campanile, Tragedie in due battute, 1978)
 
 
 
Inserito in parentesi
 
Inserito in parentesi come commento metatestuale, il punto interrogativo segnala che si mette in dubbio (si prendono le distanze da, si ironizza su, ecc.) ciò che precede l'interpunzione:
[… ] è indubbio che l'Italia dei poveracci dell'immediato dopoguerra, per quanto viziata (?) da un sistema politico anomalo [ ... ] aveva cambiato immagine, oltre che condizione, negli anni Settanta e Ottanta.
 
(Ilvo Diamanti, Quando l’Italia si guarda allo specchio, 2016)
 
 
 
Nella varietà
 
Nella varietà delle funzioni attribuibili al punto interrogativo spiccano le cosiddette domande retoriche, e poi l'insinuazione dubbiosa, l'avanzare un sospetto, il suggerire - magari in parentesi - una  correctio.
 
(Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, 2004)
 
 
 
Perché
 
Perché le banane crescono sugli alberi? Perché se crescessero raso terra sarebbero subito mangiate dai coccodrilli. Perché il mercurio si chiama così e non uranio? Perché altrimenti l'uranio dovrebbe chiamarsi Amordidio Brambilla e tutti lo prenderebbero in giro. Perché gli sci scivolano sulla neve? Perché se scivolassero solo sul caviale gli sport invernali sarebbero troppo costosi.
Perché Cesare prima di morire ebbe tempo di dire "Tu quoque, Brute"? Perché a vibrargli la pugnalata fatale non fu Marcelino Menendez y Pelayo. Perché la nostra scrittura va da sinistra a destra? Perché altrimenti i periodi incomincerebbero con un punto. Perché le parallele non s'incontrano mai? Perché se s'incontrassero chi ci fa gli esercizi sopra si spaccherebbe le gambe.
Perché san Paolo non era sposato? Perché con tutti i viaggi che ha fatto, se avesse dovuto scrivere lettere anche alla moglie, il Nuovo Testamento avrebbe dimensioni proibitive. Perché le lampadine si accendono e non bruciano subito malgrado l'intenso calore del filamen­ to di tungsteno? Perché se si bruciassero subito all'accensione non avrebbe avuto senso inventarle.
Perché le dita sono cinque? Perché se fossero sei, i comandamenti sarebbero dodici. Perché Dio è l'essere perfettissimo? Perché se fosse imperfettissimo sarebbe mio cugino Gustavo. Perché il whisky è stato inventato in Scozia? Perché se fosse stato inventato in Giappone sarebbe sakè e non si potrebbe berlo con la soda. Perché il mare è così vasto? Perché ci sono troppi pesci e sarebbe irrazionale metterli sul monte Bianco. Perché centocinquanta la gallina canta? Perché se la gallina cantasse a 33 sarebbe il Gran Maestro della Massoneria.
Perché i bicchieri sono aperti in alto e chiusi in basso? Perché se fosse il contrario i bar andrebbero in fallimento. Perché la mamma è sempre la mamma? Perché se talora fosse anche il papà i ginecologi non saprebbero più dove andare a sbattere. Perché Allah è Allah e Maometto il suo profeta? Perché dopo il  caso Rushdie su tali questioni è meglio non mettere becco. Perché le unghie crescono e i denti no? Perché altrimenti i nevrotici si mangerebbero i denti. Perché il sedere è in basso e la testa in alto? Perché in caso contrario sarebbe faticosissimo disegnare una stanza da bagno. Perché Napoleone è nato in Corsica? Perché sì.
Perché le gambe si piegano in dentro e non in fuori? Perché sugli aerei sarebbe pericolosissimo in caso di atterraggio forzato. Perché Cristoforo Colombo ha navigato verso Ponente? Perché se avesse navigato verso Levante avrebbe scoperto Messina. Perché le dita hanno unghie? Perché se avessero pupille sarebbero occhi. Perché il fuoco brucia? Perché se bagnasse sarebbe acqua. Perché i cani hanno la coda? Perché altrimenti per manifestare gioia dovrebbero dimenare il pene.
Perché l'alto si oppone al basso? Perché se si opponesse a Trebisonda perderemmo la medesima. Perché quando è buio non è chiaro? Perché è buio. Perché le pastiglie di aspirina sono diverse dagli iguana? Provate a immaginare che cosa accadrebbe in caso contrario. Perché il cane muore sulla tomba del padrone? Perché lì non ci sono alberi contro cui fare pipì e dopo tre giorni gli scoppia la vescica.
Perché chi la fa l'aspetti? Si tratta di un problema mal posto: è già lì. Perché i migliori cuscini sono fatti di piume? Perché altrimenti i migliori uccelli sarebbero fatti di lana. Perché Nord è sopra e Sud è sotto? Perché altrimenti Est sarebbe a sinistra.
Perché le sirene hanno la coda di pesce? Perché se avessero le gambe sarebbero casalinghe di Voghera. Perché un angolo retto misura novanta gradi? Domanda mal posta: lui non misura niente, sono gli altri che misurano lui.
 
(Umberto Eco, La Bustina di Minerva, 1991)
 
 
 
Domande legittime e domande illegittime
 
È evidente che gli interventi del nostro sistema educativo mirano nella maggior parte dei casi alla banalizzazione dei nostri figli. Uso qui il termine di "banalizzazione" nel preciso senso in cui viene impiegato nella teoria degli automi, ove la macchina banale è caratterizzata da una relazione input-output fissa, mentre nella macchina non-banale (macchina d Turing) l'output è determinato dall'input e dallo stato interno della macchina. Poiché il nostro sistema educativo è inteso a generare cittadini prevedibili, esso mira ad amputare quegli indesiderabili stati interni che generano imprevedibilità e novità. Ciò è dimostrato in maniera incontrovertibile dal nostro sistema di verifica, l'esame, durante il quale si fanno solo domande di cui si conosce già (o è già definita) la risposta, che lo studente deve mandare a memoria. Queste domande io le chiamerò "domande illegittime".
Non sarebbe affascinante pensare a un sistema educativo che miri a de-banalizzare gli studenti, insegnando loro a fare "domande legittime", domande di cui non si conosce la risposta?
 
(Heinz von Foerster, Sistemi che osservano, 1987)
 
 
 
Il giudice democratico
 
A Los Angeles davanti al giudice che esamina coloro che vogliono diventare cittadini degli Stati Uniti venne anche un oste italiano. Si era preparato seriamente ma a disagio per la sua ignoranza della nuova lingua durante l’esame alla domanda: che cosa dice l’ottavo emendamento? rispose esitando: 1492.
Poiché la legge prescrive al richiedente la conoscenza della lingua nazionale, fu respinto. Ritornato dopo tre mesi trascorsi in ulteriori studi ma ancora a disagio per l’ignoranza della nuova lingua, gli posero la domanda: chi fu il generale che vinse la guerra civile? La sua risposta fu: 1492 (con voce alta e cordiale). Mandato via di nuovo e ritornato una terza volta, alla terza domanda: quanti anni dura in carica il presidente? rispose di nuovo: 1492. Orbene il giudice, che aveva simpatia per l’uomo, capì che non poteva imparare la nuova lingua, si informò sul modo come viveva e venne a sapere: con un duro lavoro. E allora alla quarta seduta il giudice gli pose la domanda: quando fu scoperta l’America? e in base alla risposta esatta, 1492, l’uomo ottenne la cittadinanza.
 
(Bertold Brecht, Poesie, 2005)
 
 
Tonino Guerra, Arrivano le donne
 
La ragazzetta
 
E' successo qualcosa, quasi niente, durante una breve permanenza a Mosca. Mi ero impegnato a raccontare miei rapporti con il cinema. Lei era una ragazzetta su vent' anni con un' attenzione in un certo senso distratta come se mi guardasse per pensare altre cose.
Sentivo che mi arrivavano addosso sguardi senza nessuna forza d'ascolto ma si posavano su di me quasi cer­ cassero altri odori, più che capire i miei ragionamenti.
Quando ho chiuso le mie conversazioni su come affrontare la struttura per un film, ho chiesto se qualcunc desiderava farmi altre domande. Succede spesso che nessuno si fa vivo e io stavo per salutare e andarmene, quando si è alzata lei e parlava così sottovoce che l'ho pregate di ripetere la domanda. La ragazzetta dice: "Quando le domande si nascondono è segno che non aspettano risposte" .
"Si nascondono dove?", chiedo. "Non si stampano nell'aria". Sono rimasto qualche momento in silenzio poi me  ne sono andato, prigioniero del mistero di questo breve colloquio.
 
(Tonino Guerra, Arrivano le donne, 2008)

Le interviste: in fondo una serie di domande e una serie di risposte. 
A volte impossibili. Entrambe.
 
 
Umberto Eco intervista Muzio Scevola
 
(Muzio Scevola ha la voce dell’attore Enzo Tarascio; fegatoso, piglio alla Farinacci, toni mussoliniani, la sua voce vibra con ritmi marinettiani)
 
ECO - Buongiorno. Il nostro ospite di quest'oggi è il comandante Caio Muzio Scevola, presidente dell'associazione mutilati di guerra della repubblica romana, proconsole della riserva, fronda di quercia e gagliardetto di prima classe del SPQR, Eroe Nazionale. Vi confesso che non sono particolarmente incline a colloquiare con uomini d'arme ed eroi nazionali, ma il caso Scevola mi è parso umanamente interessante. Oltretutto la nostra memoria, sin dall'infanzia, è stata ossessionata dall'immagine di quest'uomo che, fallito l'attentato a Porsenna, ha saputo così stoicamente punire la mano che lo aveva tradito ponendola su di un braciere ardente. Devo confessare che il suo caso mi ha sempre incuriosito, forse per l'attrazione morbosa che esercita su ciascuno di noi chi ci è radicalmente diverso... Voglio dire che io non saprei mettere sul fuoco neppure un dito, e tutto sommato ho in orrore le automutilazioni. Vorrei capire, vorrei penetrare nell'animo di questo personaggio così differente da me. Ma ecco che entra il comandante Scevola. E' sobriamente vestito con una toga sotto la quale si intravede una lorica. Porta alla cintura uno stiletto. La mano destra, quella bruciata, è sostituita da una sorta di bracciale di cuoio che termina con un guanto borchiato, una sorta di tirapugni. Buongiorno comandante Scevola.
SCEVOLA - Ave! Morituri te salutant!
ECO - Morituri?
SCEVOLA - Una formula. Lo slogan di una vigorosa pattuglia di cuori generosi che ho l'onore di comandare. Uomini avvezzi a gettare il cuore oltre l'ostacolo, che sanno di giovinezza e di morte, che hanno assaporato l'acre odore del sangue, e tengono a musica il clangore del gladio!
ECO - Ho capito: commandos...
 
 
 
Umberto Eco intervista Beatrice
 
(Beatrice ha la voce dell’attrice Isabella Del Bianco – Regia di Andrea Camilleri)
 
ECO: Signora Beatrice...
BEATRICE: Mi scusi, ho da fare. Son subito da lei.
ECO: Cosa fa?
BEATRICE: Cosa faccio? Faccio che c'è la Francesca da Rimini! Sa quella grulla intervistata da Sanguineti? Ella si è messa nei guai come il solito. Tutti porci questi maschi! E poi se ne lavano le mani! Adesso cerco di metterla in contatto con Cleopatra, che conosce un indirizzo giusto. Capisce anche lei, se queste donne non si danno una mano l’una con l’altra… E poi c’è Laura, ch’ha messo su con Fiammetta una stazione termale a Valchiusa, ma si sa, son du’ donne sole e i fornitori se ne approfittano! Adesso scrivo a Saffo che lei aveva esperienze di comuni femminili e mi dica come si mettono a posto queste cose, almeno sotto il profilo fiscale! Che porci quest’omini! Ha letto l’ultimo numero di “F”?
ECO: No…. Cioè sì, sì, ma… Io ero venuto per… per un’altra cosa. Io stavo
facendo un’inchiesta sulle donne dei poeti…
BEATRICE: Ma che bella idea!... E perché non fa un’inchiesta sui poeti delle donne? Cosa significa “le donne dei poeti”? Cosa sono le donne, proprietà dei poeti?!... Guardi Madame de Stael, lei sì che si prendeva i poeti che voleva… Quelle eran donne che avevano poeti tutti per loro! Oddio.. non dico che sia bello, le cose dovrebbero avvenire su un piano di parità, ma, insomma, tanto per controbattere le pretese di questi maschi… Gaspara Stampa non scriveva mica male, e Vittoria Colonna lo stesso, ma son rimaste sempre le donne di qualcun altro! Ma le pare il modo?
ECO: Scusi signora, forse mi sono espresso male… Volevo intervistare donne che per libera elezione abbiano avuto, uhm, come si dice... affettuosa amicizia con dei poeti.
BEATRICE: E io che c’entro? Io per fortuna co’ poeti non ho mai avuto affettuose amicizie.
 
 
(Umberto Eco, in Le interviste impossibili, Bompiani, Milano 1975)
 
 

La nostra intervista...

alla Redazione della rivista Una città

 
Una città:  perché la  scelta  di questa  intestazione?
Il nome della testata “una città” è nato un po' per caso; il gruppo fondatore, quando ha cominciato, ha ereditato una vecchia testata esistente (l'altra città), il cui nome è stato poi cambiato in senso più prosaico in “Una città”.
Nonostante l'origine poco nobile, nel tempo questo nome ci è sembrato ben rappresentare la volontà di raccontare il paese: “una” città, nel senso di una città qualsiasi e quindi potenzialmente di ogni città.
Pino Ferraris, amico e collaboratore mancato nel 2012, in uno scambio di email proprio sul nome ci scrisse:
"Città" è polis, il luogo in cui, attraverso il dialogo, costruiamo e ricostruiamo in continuazione il precario e necessario equilibrio della nostra "insocievole socievolezza". "Una" è articolo indeterminativo, indica "in generale" ogni particolare contesto nel quale ci tocca di vivere e di operare. Inoltre il fatto che il "nodo" Forlì possa essere uno snodo della rete global-local mi sembra una bellissima e attualissima sfida che rimette in discussione le arcaiche carte topografiche dei "centri" e delle "periferie".
 
Nel titolo, si ricorda che le domande vengono prima delle risposte. Una semplice verità, spesso dimenticata.In che modo questa indicazione ha condizionato e indirizzato il vostro lavoro?
Per noi “le domande vengono prima delle risposte” significa affrontare i temi e le storie che incontriamo con curiosità, senza tesi precostituite, aperti a racconti che possono anche capovolgere le nostre idee e visioni. Significa altresì che anche quando incontriamo qualcuno con posizioni diverse, cerchiamo di farle venir fuori al meglio.
 
 

 

   

MATERIALI DIDATTICI

Domande... da scuola
 
 
 
I nostri alunni e le nostre alunne imparano nel e col tempo a porre domande talvolta così complesse da richiedere mesi per trovare risposte. 
A volte, invece, le domande si misurano nel confronto tra il loro vivere e il loro sapere.
Se non ci fossero domande non ci sarebbero curiosità, interesse, conoscenza. Non ci sarebbe (ricerca di) sapere.
In fondo, non ci sarebbe la scuola.
Non siete d’accordo?
 

 

Cinque domande sulla storia
 
Mia figlia, che frequenta la seconda elementare, mi ha raccontato di aver posto alla sua insegnante la seguente domanda: “Cosa faceva Dio prima che fosse creato il mondo?” La maestra le ha dato la sola risposta possibile: “E' una domanda alla quale non so rispondere. E proprio per questo è una domanda importante”.
 
(Massimo Recalcati, L'ora di lezione. Per un'erotica dell'insegnamento, 2014)
 
 
Forse qualcuno ricorda ancora con un senso di frustrazione quando, tempo fa, si raccomandava a noi bambini di non fare “troppe domande” e, soprattutto, di non fare “domande sconvenienti”. Ma esistono domande “sconvenienti”? Da adulti abbiamo imparato che porsi delle domande non solo è necessario per gratificare il nostro desiderio di conoscenza, ma è anche un dovere etico.
Da insegnanti sappiamo che non si dà apprendimento se non come risposta ad un interesse innescato da una domanda.
Ma i ragazzi di oggi pongono domande? E quali domande pongono? Esistono discipline che suscitano più domande di altre?
Abbiamo fatto un piccolo esperimento chiedendo a 43 alunni di classe I e II della scuola secondaria di I grado di scrivere cinque domande sulla storia, immaginando di poterle porre ad un esperto storico, al Ministro della Pubblica Istruzione, alla loro insegnante.
Ecco le domande più significative.
I. C. Peseggia (VE), Scuola Secondaria di 1°grado,
cl. 1-2, a.s. 2015–'16, ins. Silvia Ramelli
 
 
 
 
 
 
Scuola primaria
 
Domanda / Domande
 
Un bambino piccolo fa una grande domanda: "Cos'è un confronto?"
 
 
In classe i bambini hanno  cucinato  i pop corn con una pentola e poi con la macchina.
Hanno fatto osservazioni,  analisi, ricostruzione e confronti  di esperienze con le foto/fonti.
Poi basta una domanda semplice semplice di un alunno durante una conversazione per far riflettere l’insegnante  sull’uso delle parole, nel nostro caso confronto, che era stato da poco sperimentato in una attività recente ed entrato  nel linguaggio quotidiano.
Ma finchè non avviene la verbalizzazione, la spiegazione della parola da parte dei bambini non si può dare per scontata  l’interiorizzazione del concetto.
 
                                                     I.C. Noale (Ve) - Scuola Primaria Cappelletta, Cl 2, a.s. 2015-16
ins. Luigina Battaggello
 
 
 
Quella pietra appesa al muro... Cos'è?
 
Un visita al Muncipio per osservare un reperto archeologico di epoca romana permette di porsi domande e ragionare per capire cos'è, cosa rappresenta e come mai è finito lì in copia mentre l'originale si trova al Museo Archeologico di Altino (Ve).
 
 
12 gennaio 2016: Municipio di Spinea, sala Giunta              
  1. Ins. In questa stanza si riunisce il sindaco con gli assessori…. Alla parete sono appese le foto dei sindaci di Spinea prima di Silvano Checchin … ma non siamo qui per questo…. C’è anche la foto del Presidente della Repubblica Mattarella… ma non siamo qui per questo…
  2. Chi è quello in alto?  (indica un ritratto)
  3. Non lo so… mi informo e poi ve lo dico, ma non siamo qui neanche per lui…
I.C. Spinea 1 (VE)- Scuola Primaria "A. Vivaldi" cl. 3^, a.s. 2013-14,
ins Nadia Paterno
 
 
 
 
Maestra, sono nati prima Adamo ed Eva o gli ominidi?
 
Inizio classe quarta. Succede che un'alunna si porti dentro una domanda per lunghissimo tempo e che improvvisamente emerga l'urgenza di sapere, di avere una risposta, una spiegazione. Nei due audio che seguono la risposta è data dalla classe stessa. Un'analisi ed un confronto tra religione e scienza sostenuto da argomentazioni spesso sorprendenti per la lucidità con cui sono espresse. (Un vero colpo di fortuna aver avuto un registratore a portata di mano).
 
 
disegno di Umberto
 
Audio 1:

Audio 2:

 
 
I.C. Carbonera (TV), Scuola Primaria "E. De Amicis", cl 4, a.s. 2015-16
Ins. Luisa Bordin
 
 
Scuola secondaria di primo grado
 
Che voti prendeva mio nonno? (e com'era la scuola ai suoi tempi?)
 
Imparava le stesse cose che imparo io?
E come le insegnavano?
E' proprio vero che gli insegnanti erano severi?
E che le classi erano più numerose di adesso?
E cosa significa “eravamo più poveri”?

 

Sono le prime domande emerse nel momento della scoperta: dieci scatoloni di cartone con una scritta a penna un po' sbiadita: “registri classe III, anni scolastici 1929/30 – 1940/41”.
E subito l'emozione della sorpresa diventa curiosità e poi interesse e infine voglia di comunicare.
Così 10 alunni di classe I della scuola secondaria di I grado “A. Martini” di Peseggia, durante le ore di laboratorio di storia locale hanno iniziato la loro avventura alla scoperta dei registri scolastici della scuola elementare conservati nell'archivio dell'istituto.
 
I. C. Peseggia (VE), Scuola Secondaria di 1° grado, cl. 1,  a.s. 2014 – 2015,
ins. Silvia Ramelli
 
 
 

 
 
 
 
 
 
Tre fili
 
(…) Cominciai così ad andare per archivi, a sfogliare carte. Mi mossi dapprima senza un ordine preciso, in ricognizione. Alcuni studiosi definiscono survey questa fase iniziale della ricerca storica. Vuol dire in pratica gironzolare, fiutare dove possano nascondersi i documenti giusti. In questa fase servono i libri, i suggerimenti di altri, gli inventari archivistici, un minimo di esperienza e anche un'attitudine che Ellen O'Gorman dell'Università di Bristol è convinta si possa chiamare fantasy (una specie di «coinvolgimento emozionale», dal preciso «valore cognitivo»). A ogni modo può essere utile aver presente una domanda guida. La mia era questa: quale fu la ragion d'essere della via di Schenèr? [1]
Ogni strada, infatti, ha un perché durevole, non estemporaneo, rappreso. Non esistono strade senza uno scopo, senza un movi­ mento consolidato di cose, persone e interessi per i quali andare lungo l'itinerario x dal punto a al punto b sia in qualche modo necessario. Una strada raccoglie così infinite trame, ma al fondo di questo pullulare, brulicare, zampettare devono esserci dei cavi passanti, tensionati, che tengono botta; deve esserci insomma una ragione d’essere. (…)
 
  (Matteo Melchiorre, La via di Schenèr. Un’esplorazione storica della Alpi, 2016)
[1] Strada tra le montagne tra Feltre (BL) e Primiero (TN).

 
 
 
La storia come problematizzazione del passato
 
di Ivo Mattozzi
 
I testi che seguono sono schede sul tema della problematizzazione in storia elaborate da Ivo Mattozzi.
Il materiale è tratto dal  courseware "Insegnare storia" http://clio92.it/index.php?area=3&menu=14&page=107, un ambiente ipermediale per un autoaggiornamento sui temi della didattica della storia, a cura del Ministero della Pubblica Istruzione e della Università degli Studi di Bologna (Dipartimento di Discipline Storiche, curato da Ivo Mattozzi e Giuseppe Di Tonto e pubblicato  nel 2000).
Si ringraziano Ivo Mattozzi e Giuseppe Di Tonto per la disponibilità alla riproduzione e all’uso  del materiale.