Tu sei quiIn forma di parole / Umanità NL n° 15

Umanità NL n° 15


 
Umanità
 
Cueva de las Manos, Santa Cruz, Argentina, 9000 anni fa
 
 
Umanità: da una parte l’insieme di tutti gli esseri umani (uomini e donne): la storia e la geografia come saperi che, assieme ad altri, ci soccorrono a collocare nel tempo e nello spazio la vicenda umana, aiutandoci nella comprensione di appartenenza e condivisione della stessa unica specie. Dall’altra “il sentimento di solidarietà umana, di comprensione e di indulgenza verso gli altri uomini e le altre donne”.
Due  significati che, neanche a scuola, possono essere slegati. Che si implicano reciprocamente.
La mappa dell’umanità che apre questo numero dice le piste che abbiamo cercato di seguire per avventurarci dentro l’umanità. Non tutto il territorio possibile, ma solo alcune regioni. Per cominciare.
 
 
 
Filastrocca dei diversi da me
 
Tu non sei come me, sei diverso
Ma non sentirti perso
Anch’io sono diverso, siamo in due
Se metto le mie mani con le tue
Certe cose so fare io, e altre tu
E insieme sappiamo fare anche di più
Tu non sei come me, son fortunato
Davvero ti son grato
Perché non siamo uguali
Vuol dire che tutt’e due siamo speciali
 
(B. Tognolini, Le filastrocche della Melevisione)
 
 
 
 
 
 
 
Abbiamo provato a discutere tra noi cosa significasse la parola “Umanità” e quali accezioni, potesse avere. Li abbiamo rappresentati in questa mappa concettuale. La storia e la geografia, non sono le sole discipline deputate ad occuparsene. Ci sono, infatti, anche altri aspetti legati alle culture che, a scuola, sono affidati, ad esempio, allo studio della lingua italiana o della religione. I significati che abbiamo qui rappresentato sono molteplici e intrecciati tra loro a riprova che non esiste umanità senza relazioni, reti, collegamenti, scambi, narrazioni. Il tutto racchiuso nel cerchio della visione interculturale e nell’atteggiamento alla solidarietà, princìpi questi assolutamente umani.
 
 
 
Lingua Italiana
 
 
DOMANDA
Come si scrive Umanità, con la prima lettera maiuscola o minuscola?
RISPOSTA
La maiuscola nobilitante può essere usata ogni volta che si intenda, per l’appunto, sottolineare l’importanza che attribuiamo alla parola. Bisognerebbe farne un uso ben motivato e parco: questa, almeno, è la linea di tendenza propria della lingua scritta attuale.
Non sempre è stato così, anzi, nei secoli centrali dello scorso millennio l’enfasi era di prammatica e si serviva anche di un frequente ricorso alle maiuscole, specialmente quando attribuite all’iniziale di parole astratte (o concepibili come astratte) come umanità.
 
http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/domande_
e_risposte/grammatica/grammatica_1303.html
 
 
 
 
Come Melchisedec
 
 
 
 
Lo storico, «insensibile a tutto il resto, deve essere attento solo agli interessi della verità e deve sacrificare a questa il risentimento di  un’ingiuria, il ricordo di un beneficio e l’amore stesso della patria.  Deve dimenticare che è di un certo paese, che è stato allevato in una certa comunità, che deve la sua fortuna a questo e a quello, e che  questi e quegli altri sono i suoi parenti o i suoi amici. Uno storico in quanto tale è, come Melchisedec, senza padre, senza madre, senza  genealogia. Se gli si domanda: di dove sei? Bisogna che risponda: non sono né francese né tedesco né inglese né spagnolo, ecc.; sono abitante del mondo. Non sono né a servizio dell’imperatore né a servizio del re di Francia, ma solo al servizio della verità. È la mia sola regina, e solo ad essa ho prestato giuramento di obbedienza. Tutto ciò che lo storico dà all’amore di patria lo toglie agli attributi della storia, e diviene un cattivo storico a misura che si dimostri un buon suddito».
 
Pierre Bayle, Dictionnaire historique et critique (1697)
 
 
 
Umanità redenta
 
 
 
Il cronista che enumera gli avvenimenti senza distinguere tra i piccoli e i grandi, tiene conto della verità che nulla di ciò che si è verificato va dato perduto per la storia. Certo, solo all’umanità redenta tocca interamente il suo passato. Vale a dire che solo per l’umanità redenta il passato è citabile in ognuno dei suoi momenti. Ognuno dei suoi attimi vissuti diventa una «citation à l’ordre du jour» – e questo giorno è il giorno finale.
C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, e le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine cresce davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.
Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti, Einaudi,
Torino 1962, 1976, 1981, 1995, a cura di Renato Solmi.
 
 

 
 
Janine
 
 
Ricordo la prima selezione. Dopo avermi analizzata il medico notò una cicatrice. «Forse mi manderà a morte per questa ... » pensai e mi venne il panico. Lui mi chiese di dove fossi e io con un filo di voce ma, cercando di restare calma, risposi che ero italiana. Trattenevo il respiro. Dopo aver riso, insieme agli altri, del medico italiano che mi aveva fatto quella orrenda cicatrice, il dottore nazista mi fece cenno di andare avanti. Significava che avevo passato la selezione! Ero viva, viva, viva! Ero così felice di poter tornare nel campo che tutto mi sembrava più facile.
Poi vidi Janine. Era una ragazza francese, erano mesi che lavoravamo una accanto all' altra nella fabbrica di munizioni. Janine era addetta alla macchina che tagliava l'acciaio. Qualche giorno prima quella maledetta macchina le aveva tranciato le prime falangi di due dita. Lei andò davanti agli aguzzini, nuda, cercando di nascondere la sua mutilazione. Ma quelli le videro subito le dita ferite e presero il suo numero tatuato sul corpo nudo. Voleva dire che la mandavano a morire. Janine non sarebbe tornata nel campo. Janine non era un'estranea per me, la vedevo tutti i giorni, avevamo scambiato qualche frase, ci sorridevamo per salutarci. Eppure non le dissi niente. Non mi voltai quando la portarono via. Non le dissi addio. Avevo paura di uscire dall'invisibilità nella quale mi nascondevo, feci finta di niente e ricominciai a mettere una gamba dietro l'altra e camminare, pur di vivere.
Racconto sempre la storia di Janine. È un rimorso che mi porto dentro. Il rimorso di non aver avuto il coraggio di dirle addio. Di farle sentire, in quel momento che Janine stava andando a morire, che la sua vita era importante per me. Che noi non eravamo come gli aguzzini ma ci sentivamo, ancora e nonostante tutto, capaci di amare. Invece non lo feci. Il rimorso non mi diede pace per tanto, tanto tempo. Sapevo che nel momento in cui non avevo avuto il coraggio di dire addio a Janine, avevano vinto loro, i nostri aguzzini, perché ci avevano privati della nostra umanità e della pietà verso un altro essere umano. Era questa la loro vittoria, era questo il loro obiettivo: annientare la nostra umanità. Ricorderò sempre J anine, resterà nel mio cuore per sempre.
 
 Liliana Segre, Fino a quando la mia stella brilla, 2015
 
La sera in cui a Liliana viene detto che non potrà più andare a scuola, lei non sa nemmeno di essere ebrea. In poco tempo i giochi, le corse coi cavalli e i regali di suo papà diventano un ricordo e Liliana si ritrova prima emarginata, poi senza una casa, infine in fuga e arrestata. A tredici anni viene deportata ad Auschwitz. Parte il 30 gennaio 1944 dal binario 21 della stazione Centrale di Milano e sarà l'unica bambina di quel treno a tornare indietro. Ogni sera nel campo cercava in cielo la sua stella. Poi ripeteva dentro di sé: finché io sarò viva, tu continuerai a brillare.
 
Liliana Segre è nata a Milano, da una famiglia ebrea. A 13 anni, nel 1943, viene tragicamente deportata ad Auschwitz insieme al padre: solo lei si salverà, e farà ritorno a casa dove, con grande dolore, si dedicherà alla testimonianza dell'Olocausto.
Dal 19 gennaio 2018 è senatrice a vita.
 
 

 
 
 
Human
 
 
 
In principio fu l’arte a far nascere il sito Google Art: era il 2011. L’intento era raccogliere in un museo virtuale una selezione di opere d’arte di qualunque epoca, collocate nei musei sparsi nel mondo e renderle disponibili agli utenti del web in un grande museo virtuale.
All’appello risposero subito alcune centinaia di musei d’arte, archeologici e scientifici oltre a istituzioni culturali. Oggi sono ben oltre mille ed hanno messo a disposizione una selezione delle proprie opere e reperti. Le foto sono ad altissima definizione e ci restituiscono la storia dell’umanità in opere “umane” realizzate in cinquemila anni.
Nel 2016 è diventato Google Art & Culture (con traduttore in italiano) e la cultura umana intesa in senso più ampio è entrata a far parte del progetto. Nella sezione “Culture” sono presenti, ad oggi, quasi seimila progetti dedicati ai temi più vari: dalla storia, al costume, all’antropologia, all’ambiente, al cibo, alla moda… tutto ciò che fa parte della cultura umana è documentato attraverso foto o scansioni di documenti d’epoca.
 
Human” è uno dei seimila progetti che vi segnaliamo.
 
 

 
 
Uno e sette
 
 
 
 
Non dimentichiamo di rileggere una delle celebri "Favole al telefono" di Gianni Rodari, quando, nell'ormai lontano 1962, scriveva questo brevissimo racconto per dimostrare che, benché tutti diversi, i bambini "ridevano nella stessa lingua".
Ho conosciuto un bambino che era sette bambini. Abitava a Roma, si chiamava Paolo e suo padre era un tranviere. Però abitava anche a Parigi, si chiamava Jean e suo padre lavorava in una fabbrica di automobili. Però abitava anche a Berlino, e lassù si chiamava Kurt, e suo padre era un professore di violoncello. Però abitava anche a Mosca, si chiamava Juri, come Gagarin, e suo padre faceva il muratore e studiava matematica. Però abitava anche a Nuova Vork, si chiamava Jimmy e suo padre aveva un distributore di benzina. Quanti ne ho detti? Cinque. Ne mancano due: uno si chiamava Ciù, viveva a Shanghai e suo padre era un pescatore; l’ultimo si chiamava Pablo, viveva a Buenos Aires e suo padre faceva l’imbianchino. Paolo, lean, Kurt, luri, Jimmy, Ciù e Pablo erano sette, ma erano sempre lo stesso bambino che aveva otto anni, sapeva già leggere e scrivere e andava in bicicletta senza appoggiare le mani sul manubrio. Paolo era bruno, Jean biondo, e Kurt castano, ma erano lo stesso bambino. Juri aveva la pelle bianca, Ciù la pelle gialla, ma erano lo stesso bambino. Pablo andava al cinema in spagnolo e Jimmy in inglese, ma erano lo stesso bambino, e ridevano nella stessa lingua. Ora sono cresciuti tutti e sette, e non potranno più farsi la guerra, perché tutti e sette sono un solo uomo.
Gianni Rodari, Uno e sette, 2004
 
 

 
 
 
 
MATERIALI DIDATTICI
 
 
La sagoma dell'idenità e delle appartenenze di Martina, 10 anni
 
 
 
I materiali che vi proponiamo appartengono a diverse esperienze didattiche. Fiabe, famiglia, generazione, migrazioni, cittadinanza, identità, umanità, diritto all’istruzione, accoglienza: questi i temi sviluppati dalle classi della scuola primaria e secondaria, a cui si aggiunge un’esperienza che ha convolto donne migranti. Testimonianze di come portare il mondo a scuola e la scuola nel mondo.
 
 
 
Scuola primaria
 
 
 
 
I.C. Maserada sul Piave (TV), Scuola primaria "Pascoli", a.s. 2005-'06
 
 
Com’è nato il libro… che viene da lontano.
Nell’anno scolastico 2005/06, gli insegnanti della Scuola Elementare di Maserada sul Piave hanno elaborato il Progetto “Un Mondo a colori” finalizzato alla valorizzazione della cultura di origine degli alunni stranieri in una prospettiva di effettiva integrazione, in cui qualsiasi gruppo etnico sia consapevole che la propria diversità possa essere una ricchezza condivisibile.
Questo progetto scolastico, inserito nel Progetto Educativo “Cittadini oggi” dell’Istituto Comprensivo di Maserada sul Piave...
 
 
 
 

 
 
Il mondo a scuola
 
 
 
I.C. Spinea 1 (VE), Scuola primaria "Vivaldi"
cl 2, a.s. 2007-'08, 2012-'13, e 3, 2013/2014 
Ins. N. Paterno
 
Le classi multiculturali di oggi pongono i problemi che conosciamo e sono una delle risorse per cominciare ad affrontarli. Quando il presente e il passato personale e familiare diventano oggetto di studio si incontrano subito storie e geografie di persone, famiglie e gruppi umani che, ad esempio, si sono spostati per migliorare la loro qualità di vita. Storie dei bambini e delle generazioni adulte sono quindi una possibile entrata “semplice” per cominciare a formare cittadini veneti, italiani, europei, del mondo e viceversa. La presentazione è un collage di slide estrapolate da tre diversi percorsi di bambini che incontrano problemi grandi e condividono le prime riflessioni su di essi.
 
 
 

 
 
Tanti buoni motivi per essere una bambina e un bambino
 
Un’esperienza didattica attorno all’identità e alle appartenenze
 
 
 
I.C. Carbonera (TV), Scuola primaria "De Amicis",  classi 3-4 A e B, 2004-2005,
ins. L. Bordin
 
Il percorso didattico sulla scoperta dell’identità e delle multi-appartenenze di cui ciascuno è portatore si è svolto a cavallo di due anni scolastici (dal 2004 al 2005) in due classi terze, e successivamente quarte, dell’Istituto Comprensivo di Carbonera (TV).
Il lavoro è nato all’interno dell’area linguistico-espressiva ed ha visto successivamente il coinvolgimento dell’area storico-sociale. L’obiettivo iniziale era motivare i bambini al racconto di sé anche attraverso la produzione scritta. La scrittura autobiografica è uno dei generi meglio rispondenti ad offrire argomenti sui quali qualunque bambino possa avere qualcosa da raccontare.
Nel corso del lavoro andava progressivamente emergendo come la narrazione autobiografica permettesse di scoprire la relazione tra la storia individuale di ciascun bambino e la propria identità e come essa fosse inevitabilmente intrisa di appartenenze che vengono messe in gioco a seconda dei contesti e delle relazioni che s’instaurano con “l’altro”: sia esso un familiare, un coetaneo, un adulto o un estraneo. Ma tutto, per essere compreso dai bambini, doveva essere affrontato in modo graduale.
C’è voluto del tempo, ma alla fine il progetto ha prodotto un duplice risultato: da un lato i bambini hanno preso confidenza con la scrittura, dall’altro hanno capito un po’ meglio che il raccontarsi è ricordo, memoria, è storia personale ed è, anche, un piccolo pezzo di storia dell’umanità.
 
in Ernesto Perillo (a cura di), Storie plurali. Insegnare la storia in prospettiva interculturale,
Milano, Franco Angeli, 2011. Per gentile concessione dell'editore.
 
 

 
 
L’umanità come contesto di tutte le civiltà
 
Un’unità per cominciare a conoscere, riflettere e costruire
 
 
 
 
 
I.C. Carbonera (TV), Scuola primaria "De Amicis",  classi 3-4 A e B, a.s. 2007-2008,
ins. L. Bordin
 
Il lavoro è nato all’interno di una proposta del gruppo di ricerca di Clio '92. Si voleva provare a sperimentare un’unità di apprendimento i cui scopi erano far acquisire ai bambini/e la consapevolezza che: esiste l’umanità come insieme di tutte le donne e gli uomini che vivono sulla terra, cioè di tutte le civiltà oggi esistenti; che è possibile conoscere e descrivere l’umanità oggi; che l’umanità ha avuto un passato. Il progetto era ampio ed ambizioso ed è stato realizzato solamente in parte.
Il percorso è stato sperimentato in due classi dell’Istituto Comprensivo di Carbonera (TV) nell’anno scolastico 2006-‘07.

Le classi quinte nelle quali è stato attuato il percorso erano composte da 19 e 21 alunni otto dei quali stranieri (due alunni rumeni, una dominicana, una marocchina, una brasiliana, un ivoriano, un cinese, una kosovara). La presenza di alunni stranieri è sempre variata sin dal primo anno. Alcuni alunni hanno frequentato tutti gli anni altri sono arrivati durante il quinquennio altri ancora se ne sono andati. Giunti alla conclusione del loro ciclo scolastico era arrivato il momento da un lato di valorizzare la presenza di questi alunni in quanto testimoni, dall’altro verificare se e come si fosse evoluta la loro integrazione nel gruppo dei coetanei.    

in Ernesto Perillo (a cura di), Storie plurali. Insegnare la storia in prospettiva interculturale,
Milano, Franco Angeli, 2011. Per gentile concessione dell'editore.
 
 

 
 
L’educazione cambia il mondo
 
Progetto didattico-formativo
 
 
 
I.C. Carbonera (TV), Scuola primaria "De Amicis", cl 5 AB, a.s. 2017-'18
inss. L. Daldin, L. Frezza, F. Giacomello
 
 
Il percorso didattico-formativo interdisciplinare trova il punto di partenza nella visione del film-documentario “Vado a scuola” – di Pascal Plisson (2013).
Il film narra la storia di quattro bambini, provenienti da angoli del pianeta differenti, ma uniti dalla stessa sete di conoscenza.
Jackson (Kenya), Zahira (Marocco), Samuel (India), Carlito (Patagonia): sono bambini per cui l’istruzione è fondamentale e la scuola una benedizione.
Sono proprio queste le basi da cui nasce il progetto, vale a dire, capire il ruolo fondamentale per il futuro che la scuola ha, al di là delle differenze sociali e religiose. Ogni bambino deve essere aiutato a sviluppare il proprio potenziale, sia che viva in un angolo sperduto del pianeta, o tra le montagne più remote, o nelle nostre città. Più impegnativo è l’ambiente, più motivati sono i bambini. Se gli diamo questa possibilità saremo tutti più ricchi.
 
 
 

 

Scuola secondaria

 
Il lungo viaggio dell'umanità
 
  Il futuro dell’umanità è nelle mie mani
 
I.C. Breda di Piave (TV), Scuola secondaria 1°, cl. 3 A, 3 C, a.s. 2017-'18,
inss. D. Marangon, B. Scodeller
 
Il percorso formativo proposto a due gruppi di classe seconda media e denominato IL LUNGO VIAGGIO DELL’UMANITÀ è stato intrapreso a partire dallo studio del saggio di Massimo Livi Bacci Il lungo viaggio dell’umanità- Dalle savane dell’Africa alle migrazioni globali, ed. Zanichelli.
Le 12 tappe del viaggio dell’uomo sulla Terra sono state tradotte dagli insegnanti in parole-chiave e in mappe a buchi (si vedano la lezione 3 e 7); gli alunni hanno studiato il lessicario storico-geografico di ogni tappa e ne hanno riordinato le parole-chiave nelle mappe di sintesi dei concetti.
L’obiettivo principale, al di là dello sviluppo delle abilità di studio quali, per esempio, l’ascolto e la stesura di appunti, è stato di aumentare le capacità di orientamento e di comprensione della Storia dell’Umanità; accrescere le conoscenze relative ai processi culturali, economici e sociali che hanno determinato il passato, caratterizzano il nostro presente e influenzeranno il nostro futuro.
Il percorso ha inteso far sentire gli studenti protagonisti del loro presente e del futuro nella misura in cui si sviluppa la coscienza di essere cittadini del mondo e che molto è ancora da fare per rendere la Terra un posto accogliente per tutta l’Umanità.
I materiali qui presentati si compongono di:
 
 
Mesoreporters: giornalisti fino all'osso
 
Siete degli antropologi/esploratori/giornalisti… che dovete documentare, per la rivista Umanità, forme di vita sociale, economica… diverse. Supponiamo che una macchina del tempo vi abbia portato indietro di 9.000 anni e vi abbia lasciato in …: in realtà vi siete persi. Incontrate un gruppo di individui ai quali pensate di chiedere informazioni. Come si svolge il vostro incontro? Quali informazioni riuscite ad avere riguardo la loro vita quotidiana? Scrivete il reportage finale.
Anche oggi noi giornalisti siamo atterrati con la nostra macchina del tempo in un paese a voi lettori del tutto sconosciuto, o che almeno non avete e non abbiamo mai visto dal vivo: la Mesopotamia di 9000 anni fa.
Ci pare di vedere le vostre facce perplesse!
Ebbene sì, noi giornalisti della rivista "Umanità" che avete tra le mani abbiamo raggiunto l'antica zona del Tigri e dell'Eufrate, caratterizzata (come ci hanno insegnato le nostre maestre) dalle numerosissime piene, dalle coltivazioni abbondanti e talvolta scarse, dagli animali al pascolo e da molti altri aspetti della vita quotidiana dei nostri antichi antenati.
 
 
 

 
 
TraME e TErra: prove di reciproca accoglienza
 
 
Mi chiamo Gabriella Bosmin e, fra le altre cose, scrivo racconti per bambini e racconti di finzione.
Un paio di anni fa fui coinvolta dall’Associazione Trame e terra della valle di Primiero (TN) in un’iniziativa che mirava a far meglio accettare e accogliere otto migrate nigeriane. Nonostante le varie e molteplici attività per inserirle, attuate dall’associazione, dai volontari e dai privati, una parte della popolazione era ancora ostile e negativa nei loro confronti.
«Dovremmo trovare un modo per far loro capire che queste donne sono come noi, con sentimenti, speranze e sofferenze come noi, che possono vivere assieme e come gli abitanti della valle».
 
 
 

 
 
          
 
L'INTERVISTA
 
 
Quattro giovani donne ci raccontano, attraverso interviste o testimonianze, cosa significhi lavorare a contatto con migranti o in terre straniere dove la necessità di mettersi in gioco è urgente, importante, necessaria. E anche essere migrante, come ci racconta una delle intervistate, serve per capire un altro punto di vista. Le loro parole ci aiutano a vedere e vivere l’umanità (anche la nostra)  con occhi nuovi. Le ringraziamo per tutto questo.
 
 
 
Anna Crepet, medico e collaboratrice di Medici Senza Frontiere
 
 
Fare il medico senza frontiere
 
Sono cresciuta a Padova e dopo aver studiato medicina a Ferrara e a Bordeaux (un anno di Erasmus), nel 2009 sono partita per la Gran Bretagna dove ho iniziato il percorso post-lauream.
Dopo quattro anni di clinica ho studiato per un Master in Medicina Tropicale e Salute Internazionale alla London School of Hygiene and Tropical Medicine. Durante il master ho coltivato il mio interesse per il mondo della migrazione attraverso la prospettiva della salute individuale e pubblica. In particolare ho lavorato come medico volontario a visitare specifici migranti nei centri di detenzione inglesi ed ho fatto la tesi di master lavorando su una banca dati di un progetto che Medici Senza Frontiere (MSF) aveva gestito nei centri di identificazione ed espulsione italiani.
 
1. Come mai ha deciso di frequentare Medicina, di fare la volontaria come medico e di unirsi a MSF?
 
Quando avevo diciotto anni pensavo che diventare medico sarebbe stato il modo più immediato di essere (e sentirmi) utile agli altri.
Progressivamente il bisogno e la curiosità di scoprire un mondo sempre più ampio mi ha portato a studiare nell'ambito della Salute Internazionale e a conoscere ed apprezzare il lavoro di MSF nei luoghi dove l'accesso alla salute è difficile o inesistente.

 
 
 

 
 
 
 
 
Linda Sutto, operatrice con richiedenti asilo
 
 
Lavorare tra i richiedenti asilo
 
 
Puoi raccontarci la tua storia in poche righe?
 
Sono nata e cresciuta a Treviso, ho studiato filosofia e poi scienze dell'educazione, ho viaggiato molto. Ho vissuto un anno in Messico e un anno in Brasile, in entrambi i casi lavorando in progetti sociali, attualmente lavoro con i richiedenti asilo.
 

 
 
 
 
 
 
Ilenia Sutto, insegnante di lingua inglese a Rabat, in Marocco
 
 
Vivere da migrante italiana dall’altra parte del Mediterraneo
 
Ho scelto di studiare lingue per curiosità. Cercavo qualcosa che soddisfacesse la mia sete di novità, che mi mettesse a contatto con il diverso e che, allo stesso tempo, potesse fornirmi un tipo di conoscenza spendibile per un futuro lavoro nel sociale.
La scelta specifica della lingua araba è giunta un po’ per caso, lo devo ammettere. Ci sono arrivata dopo alcuni mesi passati ad approcciarmi all’alfabeto Hindi e a quello Farsi, e dopo aver corretto il mio ingenuo orientalismo con un pizzico di spirito pratico. Mi ero resa conto di voler apprendere una lingua che mi consentisse di lavorare e di viaggiare in più paesi, e l’arabo, sebbene declinato nelle sue varianti locali, è parlato in ben 22 paesi nella regione del MENA (Nord Africa e Medio Oriente) e rimane elemento identitario per le numerose comunità di immigrati arabofoni sparse nel mondo.
 
 
 

 
 
 
 
Valentina Luise, educatrice dell'Associazione Educatori Senza Frontiere
 
 
L'Avamposto
 
Sono Valentina, ho 27 anni e sono un’educatrice professionale. Vivo a Treviso dove ho trascorso la maggior parte della mia vita, fatta esclusione per il periodo di studi universitari a Udine e numerosi viaggi, prima legati al mio percorso universitario, con l’Erasmus a Madrid e la tesi di laurea in Madagascar, e poi legati al mio far parte dell’associazione Educatori Senza Frontiere (ESF).
 
 
 

 
 
 
 
IL CONTRIBUTO
 
 
Abbiamo chiesto a uno dei più apprezzati autori italiani per bambini e ragazzi di spiegarci perché una forma narrativa tanto cara ai nostri alunni, la fiaba, sia la più diffusa al mondo; come mai questo genere letterario attraversi tutte le culture umane; quali siano gli elementi che accomunano le fiabe ad ogni latitudine, fin dalla notte dei tempi.
Luigi Dal Cin ci ha generosamente regalato un saggio frutto di un'esperienza di studio e di una consuetudine più che ventennale con le fiabe di tutto il mondo.
 
 
Luigi Dal Cin, scrittore per ragazzi e docente universitario di tecniche di scrittura
 
 
Mille e una fiaba: mille e un modo di salvare la vita
 
Le fiabe che oltrepassano i confini
 
Più che nei contenuti meravigliosi, la forza della fiaba risiede nel suo intento profondo: a differenza della favola che ha un intento prettamente morale, il proposito davvero meraviglioso della fiaba è quello di annunciare che una vita piena è alla portata di ciascuno nonostante le avversità e le condizioni iniziali sfavorevoli, a patto che si affrontino quelle rischiose lotte senza le quali non si può raggiungere la propria vera identità.
“Perché ci racconti fiabe che finiscono bene?”.
Perché l’intento profondo delle fiabe è proprio quello di dare speranza.
In ogni fiaba troviamo così l’essenza dell’umanità.
Le fiabe camminano.
Le fiabe oltrepassano le frontiere, e non le puoi fermare al confine.
Le fiabe vivono.
Le fiabe, inevitabilmente, ci contaminano delle vite degli altri.